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ASPETTANDO IL PALABENVENUTI:PARLA MASSIMO BIANCHI

L’Associazione Viola Inside scalda i motori in vista del grande evento del mese di Maggio.Ecco le parole ed i ricordi del grande play della Cestistica Piero Viola

Da Viola Inside

Gianfranco Benvenuti è stato una persona che ha dato tanto alla città di Reggio Calabria; era un uomo di grande personalità, una persona schietta, un vero toscano con tutti i pregi e i difetti, uno che ti diceva in faccia le cose.
La pallacanestro che Benvenuti ci ha fatto giocare nei quattro anni nei quali ho avuto il piacere, l’onore e la soddisfazione di giocare con lui e per lui era basata sulle delle idee molto semplici: noi non avevamo tantissime situazioni di schemi in attacco, la nostra prima opzione era quella di aggredire il campo e quindi di correre in contropiede perché tra le caratteristiche dei giocatori e anche della pallacanestro che voleva fare Gianfranco “Cacco” era questa la prima idea, fare appunto contropiede.
La seconda era che all’interno di un’organizzazione certi giocatori avevano delle qualità, del talento superiore agli altri e quindi avevano maggiori opportunità di altri ma anche maggiori responsabilità; c’erano delle gerarchie all’interno del gruppo che riconosceva anche attraverso la gestione dell’allenatore quelli che erano i giocatori più importanti. L’ho visto allenare anche altre squadre fuori da Reggio, e a me è sempre sembrato che la pallacanestro di Benvenuti fosse fondata sui fondamentali, su cose semplici, e nel dare ai giocatori la possibilità di esprimersi all’interno di un gruppo cercando di dare il meglio di se stessi.
Il suo pregio come allenatore era che una delle priorità consisteva proprio nella costruzione della squadra finalizzata al raggiungimento di un obiettivo; obiettivi che erano anche tecnici: ci sono un sacco di giocatori che sono migliorati sotto di lui e che poi sono esplosi magari sotto altri allenatori, ma che con lui hanno iniziato a lavorare in un certo modo, a cambiare la mentalità, cose che sono fondamentali e rappresentano le basi sulle quali si può costruire un giocatore. E lui era molto bravo a dare queste nozioni che sono molto importanti per un giocatore: la mentalità, la voglia di sacrificarsi nel rispettare i ruoli, il prendersi delle responsabilità nei confronti di se stesso e del gruppo.
Il mio rapporto personale con Gianfranco è proseguito per tanti anni anche dopo che lui se n’è andato da Reggio perché per me è stata una persona veramente molto importante; grazie a lui ho potuto coronare il mio sogno di adolescente milanese che appunto sognava di giocare a pallacanestro, di esprimersi attraverso la pallacanestro e di essere gratificato da quello che faceva. Da un punto di vista professionale quando lui è arrivato a Reggio io non ero il playmaker titolare, ma durante l’anno mi sono conquistato la partenza nei primi cinque, alla fine dell’anno abbiamo vinto il campionato. Ci siamo trovati poi per il primo raduno di serie A lontani da Reggio , in Valtelllina, e nella prima riunione della squadra Gianfranco Benvenuti disse che il playmaker titolare era Antonio Campiglio, che era il playmaker dell’anno precedente, ed io ero tornato a fare la riserva. Questo era il suo modo di tirare fuori la forte competitività che io avevo, riuscendo a farmi migliorare come giocatore soprattutto attraverso il lavoro perché dovevo sempre conquistarmi tutto. Ricordo che l’anno che siamo saliti in serie A lui mi disse: “Tu puoi fare due tiri. Se fai uno dei due puoi fare il terzo”. Siccome io ero allora un playmaker che guardava abbastanza il canestro e che faceva canestro, giocando spesso anche per sé, per l’idea di pallacanestro che voleva sviluppare Gianfranco Benvenuti, nella squadra c’era bisogno di un playmaker che facesse giocare gli altri, che giocasse poco per se stesso, e quindi lui mi ha plasmato in questo ruolo.
Per quanto riguarda qualche aneddoto sul mio rapporto personale con lui, ricordo quando andavamo a trovarlo con mia moglie Anna a Livorno, o nella casa al mare lì a Reggio e quanto mi prendesse in giro e cercasse di farmi arrabbiare. Invece per quanto riguarda un aneddoto di pallacanestro posso raccontare di quel periodo in cui prima di ogni allenamento succedeva che Mark Campanaro non arrivava mai in orario e che aveva sempre bisogno di qualcosa, di un massaggio, di farsi fasciare le caviglie e si tratteneva nello spogliatoio; il massaggiatore, Lillo Barreca, che aveva già portato tutta l’attrezzatura sul campo da gioco, era costretto ad andare nello spogliatoio per fare queste cose a Campanaro; appena lui usciva dal campo Gianfranco Benvenuti apriva le sue borse e spargeva tutto il materiale sul parquet o sulla panchina. Quando poi Barreca ritornava si infuriava e ogni volta minacciava di dare le dimissioni. Questo ogni giorno, ogni allenamento. Era anche il modo con il quale Gianfranco riusciva a creare un clima di allenamento, di inizio di rapporto di gruppo che ti portava a dare il 100%. Un altro aneddoto che posso raccontare è che io per un certo periodo di tempo ho condiviso l’abitazione con Mark Campanaro; noi eravamo già in serie A e facevamo le sedute mattutine. In queste sedute mattutine spesso succedeva che il mio coinquilino, per problemi forse ancora di fuso orario che ancora non aveva smaltito, non si svegliava e non veniva. Io fino all’ultimo aspettavo, abitavamo vicinissimo al Botteghelle (presto PalaBenvenuti!) e appena arrivavo, entravo e Gianfranco mi diceva: “Americanino! (lui mi chiamava così) il tuo amico dov’è?” ed io gli dicevo sempre: “Coach, io l’ho chiamato, ho cercato di svegliarlo, ma non viene!” E lui ogni volta diceva: “Certo, a te ne non te ne frega niente della squadra… la cosa importante è che vi divertiate…!” Ogni giorno era così. Queste sono cose che non mi dimentico, questo era il suo modo non dico di “affidarmi” Campanaro perché era impossibile, ma diciamo di rendermi in un certo senso più responsabile.
Gianfranco Benvenuti è stato un allenatore che mi ha dato tanto, mi ha insegnato tanto, molte cose le ho portate nel mio lavoro ed a lui sono tanto grato. Complimenti all’associazione Viola Inside perché quella che sta portando avanti è una gran bella cosa, quel periodo ha rappresentato tanto non solo per lo sport ma anche per la città di Reggio Calabria.

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