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29 OTTOBRE 2002, VE LA RICORDATE?

Il tempo vola, e la memoria si fa più preziosa.
 
Era il 29 ottobre 2002. L’aria alla Staples Center di Los Angeles aveva il solito sapore di leggenda e aspettativa. In campo, sotto i riflettori accecanti, c’era lui: Kobe Bryant. Ormai un fenomeno consolidato, ma con ancora tanta fame. Figlio di Joe, già stella della Viola di Santi Puglisi in A2, cresciuto nel vivaio del minibasket della Cestistica Piero Viola.
 
Dall’altra parte c’era Manu Ginóbili, l’argentino con la stessa follia controllata negli occhi.
 
Manu, che aveva spopolato in Europa grazie ai suoi trascorsi prima a Reggio Calabria e poi alla Virtus di Ettore Messina.Plasmato dal suo scopritore, Gaetano Gebbia. Quello stesso Gebbia che, da allenatore alla Viola, aveva visto in quel ragazzo magro il fuoco sacro del talento.
 
Usciva dalla panchina dei San Antonio Spurs, un ruolo che per lui era diventato un’arma letale. Era l’essenza di Manu, consolidata: l’imprevisto!
 
E mentre Manu continuava a scolpire la sua leggenda, da qualche parte, in Italia, Gaetano Gebbia sorvegliava con un orgoglio che il tempo non poteva scalfire. E chissà se in quegli stessi istanti, Coach G, l’allenatore degli Spurs, ripensò per un attimo a quanto fossero stati preziosi i consigli dei suoi osservatori fidati: Hugo Sconochini e Jorge Riffatti.
“Prendilo Gaetano. Non lasciarlo andare in Spagna. È diverso. È speciale”.
 
Un altro giorno, sì. Ma soprattutto, la conferma di una profezia che si era già avverata.
 
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