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COME ENZO TORTORA, GIUSTIZIA ED ONORE PER L’INGEGNERE SCAMBIA

Riceviamo e pubblichiamo la lettera della storica voce della Rai, Tonino Raffa

Adesso che la salma dell’ingegnere Gianni Scambia riposa nel cimitero di Saline Joniche, è tempo di qualche riflessione su una vicenda che, fatte le dovute differenze (e senza sconfinare nella gogna delle manette davanti alle telecamere), ha avuto elementi in comune con il caso di Enzo Tortora, che in quel lontano 1983 scosse l’intera opinione pubblica.

Persona dal tratto gentile, professionista esemplare, dirigente dell’assindustria, imprenditore di lunga milizia e presidente della Viola Basket, Scambia nella seconda metà degli anni novanta finì al centro dell’inchiesta “Pivot” che, promossa dalla DDA, portò al fallimento della gloriosa società cestistica, decretato senza l’istanza di un solo creditore.

Fu lampante il sospetto che gl’inquirenti cercassero un colpevole senza che ci fosse alcuna vittima e in assenza di parti lese. Una vera anomalia. Cosa era avvenuto? La sentenza Bosman del 1995 sulla libera circolazione degli atleti nei Paesi UE aveva portato all’abolizione del vincolo tra giocatori e società di appartenenza. La Viola si era trovata improvvisamente con il patrimonio giocatori azzerato. In più era piovuta addosso la tegola del “Lodo Lorenzon”, un atleta del quale, al momento dell’acquisto, con un artifizio, erano stati nascosti gli effetti invalidanti di un infortunio. Nacque una controversia che vide soccombere la società, costretta a versare una penale di un miliardo e seicento milioni. Una botta tremenda.

L’unica “colpa” di Scambia fu quella di tentare di dare continuità alla gestione della Viola chiedendo aiuto agli istituti di credito e stornando alcuni importi dai conti correnti delle sue imprese edili. Erano soldi suoi e dei suoi fratelli, Enzo e Mario, movimentati alla luce del sole. Non l’avesse mai fatto. Gli piovvero addosso accuse infamanti : concorso in associazione mafiosa, bancarotta fradolenta con annessi e connessi. Fu una odissea allucinante, affrontata a testa alta con la consapevolezza di avere la coscienza a posto. La giustizia, soprattutto quella civile, ha tempi lunghi : ci sono voluti venti anni e tre gradi di giudizio, poi la verità è venuta a galla. Scambia alla fine è stato assolto, il fallimento revocato, la dignità gli è stata restituita insieme con la patente di persona per bene che la società civile, per la verità, non gli aveva mai ritirato. Ma il troppo tempo trascorso provocò effetti devastanti che nessun tempo potrà mai cancellare : le aziende dei fratelli Scambia, fino a quel momento sempre solvibili, furono trascinate nel fallimento, le banche ritirarono le loro aperture di credito e il destino di un club modello, come la Viola, cambiò drammaticamente. Stravolta anche la vita della famiglia dell’ingegnere, che, obbligata a vendere gli immobili di proprietà, fu costretta ad emigrare a Roma. Conclusione : dove non c’era mafia, i danni arrivarono dall’antimafia.

Solo un abbaglio, un caso di mala giustizia? Probabilmente no. I successi della Viola avevano attirato l’attenzione dei media, avevano rafforzato l’immagine di Reggio di fronte agli occhi del Paese, le avevano restituito orgoglio, entusiasmo, voglia di confrontarsi con le capitali storiche della pallacanestro, avevano avuto un effetto a cascata sulla crescita dell’impiantistica sportiva, determinando uno sviluppo delle attività di mini-basket, con il coinvolgimento di migliaia di bambini e delle loro famiglie. Un virtuoso volano di aggregazione sociale. Tuttavia l’affermarsi del mito di quella grande squadra e del suo DNA vincente, dovuto al carisma e alla lungimiranza di un magistrato dalla condotta adamantina come Giuseppe Viola, all’opera incessante di Scambia e alla sapiente guida di allenatori prestigiosi come Benvenuti, Puglisi, Zorzi, Recalcati, Gebbia e altri, aveva forse suscitato qualche invidia. Nulla di nuovo : avviene spesso in una città sfortunata come Reggio, capace di autodistruggere le sue realtà positive. Lo sconcerto fu totale negli ambienti–bene di quegli anni. Risultava difficile accettare l’idea che, dietro le grandi imprese di campioni come Kupec, Hughes, Campanaro, Joe Bryant (il papà del compianto Kobe), Volkov, Garrett, Caldwell, Sconochini,  Bullara, Tolotti, Avenia, Bianchi, Santoro e altri, ci potesse essere l’ombra di qualche imbroglio in combutta con la malavita associata. Lo stesso Scambia mi rivelò un giorno che, nel corso di tanti interrogatori, qualcuno tentò velatamente di fargli capire che bastava coinvolgere qualche nome importante da gettare nel tritacarne per tirarsi fuori dai pasticci. Quel particolare avrebbe dato amplificazione mediatica all’inchiesta e forse avrebbe rappresentato un salvacondotto per lui.

La giustizia vera, nella quale bisogna sempre aver fiducia, poi è arrivata, come era lecito attendersi. Ma dopo un percorso lungo, necessario per sgretolare un castello di accuse costruito sulla sabbia. La città, attraverso le sue istituzioni, dovrebbe adesso muoversi per l’unico, doveroso, risarcimento postumo : intitolare una via, una piazza, un’opera importante o un grande impianto sportivo a Gianni Scambia e all’ex presidentissimo Giuseppe Viola, scomparso quasi due anni fa. Il futuro si costruisce solo se si ha memoria degli errori e delle assurdità del passato.

Tonino Raffa

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