Le parole di un grande uomo

Pubblichiamo la lettera dell’Ing. Gianni Scambia

Ho ritenuto opportuno approfittare della cortese ospitalità della stampa per alcuni utili chiarimenti sui servizi di cronaca di questi giorni riguardanti la recente sentenza della Corte d’Appello che mi ha condannato a sei anni di reclusione, riducendo di un anno la pena inflitta in primo grado dal Tribunale e confermando così quella che in precedenza era stata stabilita dalla Corte con la sentenza poi annullata dalla Cassazione per l’illegittima composizione del Collegio giudicante. Non sono solito intervenire per commentare le sentenze dei Giudici, che io doverosamente rispetto sempre e che so che possono essere contestate con i mezzi di impugnazione. Non l’ho mai fatto, neppure quando si è trattato di sentenze o provvedimenti risultati a me favorevoli. Sono oltre una ventina quelli con cui sono stato totalmente scagionato dalle accuse che mi erano state mosse negli altrettanti procedimenti instaurati con riferimento a vicende della Basket Viola, la gloriosa società della città di Reggio Calabria improvvisamente inquisita nel 1995 e fatta poi illegittimamente fallire per disegni e strategie che, come tutti sanno, non riguardavano certo la mia persona e che poi hanno finito per determinare il fallimento anche ad una ad una delle società del mio Gruppo. (Non è qui né il caso né la sede per parlare dell’esplicita confessione [prodotta in un giudizio a Milano] resa ad un notissimo giornalista [di una grande testata nazionale] da uno dei protagonisti istituzionali di quella grave vicenda, non accortosi però del registratore che il giornalista aveva opportunamente attivato). Intervengo ora su questa condanna del 10 luglio scorso perché ritengo che sia utile qualche chiarimento che serva a completare e rettificare l’informazione e le conoscenze dei lettori, considerato d’altra parte che nei servizi di stampa non vi è alcun accenno alle spontanee dichiarazioni che, per oltre mezz’ora, io ho reso alla Corte e con le quali ho contestato fermamente la ricostruzione delle vicende fatta dall’accusa, esponendo la verità dei fatti come realmente accaduti. Si legge nei servizi di stampa – con riferimento alle posizioni dell’Accusa – che io avrei arbitrariamente “dirottato” sulla Basket Viola cinque miliardi di lire senza poi restituirli, così commettendo i reati di bancarotta fraudolenta e di peculato che mi sono stati attribuiti. Le cose non stanno esattamente così, e non solo perché i finanziamenti accordati alla Viola (e dei quali dirò subito) hanno riguardato un importo ben più modesto, ma altresì e principalmente perché tutti i movimenti di denaro da me effettuati (con il trasparente mezzo di assegni bancari intestati al mio nome) si riferiscono ad operazioni societarie fatte con l’approvazione dei consigli di amministrazione.  Mi hanno precisato i miei difensori che quando si tratta di operazioni societarie che non siano andate a buon fine per cause non prevedibili e siano dovute soltanto ad una valutazione risultata imprudente, non resta integrata l’ipotesi delittuosa della bancarotta fraudolenta, bensì quella più modesta della bancarotta semplice (cioè colposa), nella specie ampiamente prescritta. Per andare al concreto, e richiamando i capi di imputazione più rilevanti, debbo precisare che la prima e più grave “distrazione” che mi  è stata contestata (quella per la quale la precedente sentenza della Corte, ora confermata, mi aveva condannato a cinque dei sei anni di reclusione complessivamente inflitti) si riferisce ad un regolare bonifico bancario di 600 milioni di lire che l’11 ottobre 1996, tramite il Credito Emiliano, ho effettuato come presidente di Reggio Sviluppo sul conto corrente della Collins International ltd presso la banca maltese Mid-Med Bank ltd. Operazione approvata il 22 ottobre successivo dall’intero Consiglio di amministrazione al quale avevo riferito dell’incontro avuto con il direttore della stessa Collins, sig. Rossetto, nella sede nell’Ambasciata di Malta a Roma con il quale avevo concordato, in un  successivo incontro avuto negli uffici romani di quella società, la costituzione di una associazione mista italo-maltese per operare in Malta. Un’iniziativa, questa, che intendeva (e veniva) ad inserirsi nell’operazione di acquisto di un ramo di azienda della società Gemignani srl di Firenze (società in amministrazione controllata iscritta all’Albo Nazionale dei Costruttori Edili per importi illimitati in diverse categorie di lavori), acquisto che il consiglio di amministrazione di Reggio Sviluppo aveva deliberato il 22 luglio precedente e che poi venne ad effettiva realizzazione. Purtroppo, dopo qualche tempo, si è dovuto prendere atto che il Rossetto aveva fatto perdere di sé ogni traccia con la improvvisa chiusura degli uffici romani della Collins e che erano risultate vane le richieste di restituzione della somma. Orbene, il Tribunale, e poi la precedente Corte di Appello, hanno incomprensibilmente respinto la richiesta dei miei difensori perché venisse disposta una rogatoria internazionale al fine di accertare che l’11 ottobre 1996 la somma era effettivamente finita a Malta sul conto corrente della Collins (e perciò da recuperare) e non invece nelle mie tasche per soddisfare mie esigenze personali, come affermato da entrambe le sentenze di primo e secondo grado. Dalla lettura di entrambe le sentenze risulta:  che la mia versione dei fatti non era logicamente credibile, che non esisteva alcun documento contrattuale stipulato con il Rosetto, qualificato “fantomatico”, che le risultanze degli atti consentivano di escludere che esistesse in Italia e a Malta la detta società Collins, e, infine, che non vi era agli atti traccia alcuna né dell’esistenza della Gemignani né dei tentativi di acquisto da parte di Reggio Sviluppo. Affermazioni tutte assolutamente sorprendenti: quanto a quest’ultima, perché era stata al contrario prodotta in giudizio tutta la documentazione intercorsa (comprese tutte le delibere del consiglio di amministrazione) con  l’allegazione anche dell’autorizzazione all’acquisto concessa dal Tribunale di Firenze, e, quanto alla prima, perché non era conseguente ad un qualsiasi accertamento effettivamente disposto, essendo stata ingiustamente disattesa, come si è detto, la richiesta difensiva di rogatoria internazionale. Ma ciò detto, quello che rende particolarmente incomprensibile la recente sentenza di conferma della condanna è che alla Corte di Appello è stata da ultimo prodotta la documentazione informatica (che sono riuscito ad acquisire tramite internet utilizzando uno dei servizi di ricerca camerale internazionale disponibili online) dell’oggettiva e reale esistenza a Malta della società Collins, con la conferma della sede in La Valletta e tutte le possibili indicazioni della Camera di Commercio e del socio unico, ivi compresa quella relativa al “Director” Rossetto.  Il che significa che, non potendosi ancora affermare che quella somma oggetto del bonifico sia potuta finire nelle mie tasche, può essermi soltanto addebitata la imprudenza (anche manifesta) nella conclusione della operazione, (peraltro pienamente approvata dal Consiglio), mai la bancarotta per dolosa distrazione della somma oggetto del bonifico. L’altra rilevante contestazione mossami è quella relativa all’operazione Perna.  La stessa riguardava un progetto di riqualificazione urbana che il Consorzio Reggio ’90, unitamente alla cooperativa Habit Coop Calabria, si era impegnato col Comune di Reggio Calabria a realizzare nella zona Modena–San Sperato in un’area nella quale era ricompreso un suolo di 6.000 mq facente parte del fallimento Perna, del quale la mia società Jonica Appalti era assuntrice. L’acquisto di tale suolo (mediante compromesso di vendita con tale società) venne deliberato dal Consiglio di amministrazione del Consorzio (io assente) in data 21 dicembre 1995 per il prezzo di 1,3 miliardi di lire, assistito da una fideiussione di pari importo rilasciata dal Banco di Napoli, garantita da Buoni del Tesoro dello stesso Consorzio. Risultato non più realizzabile il progetto di riqualificazione urbana per inadempienza del Comune (soggetto attuatore) e non avendo io potuto più soddisfare per intero i creditori del fallimento Perna (per via delle difficoltà bancarie conseguenti alle indagini penali iniziate contro la Basket Viola), si è verificato che il curatore di tale fallimento è stato costretto ad escutere la fideiussione, ingiungendo al Banco di Napoli il pagamento di quanto ancora dovuto ai creditori (£ 877.936.869). Pagamento effettuato dalla Banca, che si è poi rivalsa direttamente sui titoli del Consorzio che teneva in garanzia.  Così riassunta la vicenda, non s’intende minimamente (a parte ogni profilo civilistico) come possa essere a me contestata la bancarotta per la “distrazione” di detta somma, quando io nessuna concreta “condotta” ho mai svolto nella vicenda, non avendo io né partecipato alla riunione del Consiglio direttivo del 21 dicembre 1995 ed a quelle successive che hanno interessato l’operazione, né eseguito alcun prelevamento di somme, essendo stato effettuato il pagamento di detta somma, come si è visto, direttamente dalla banca al curatore con la conseguente diretta rivalsa sui titoli vincolati a garanzia. La terza rilevante contestazione è quella relativa ai finanziamenti in favore della Basket Viola. Ho chiarito nelle memorie difensive le ragioni e le circostanze nelle quali gli stessi finanziamenti sono stati effettuati. Ho spiegato che la improvvisa caduta del tasso di interesse prodotto dagli investimenti bancari aveva reso non più redditizi gli investimenti delle liquidità occorrenti per sostenere i costi di gestione del Consorzio sicché era sorta l’esigenza impellente di individuare forme alternative di investimento. E come per Reggio Sviluppo si era pensato all’attività di impresa nel settore delle costruzioni attraverso l’operazione Gemignani, per Reggio ’90, dopo l’accennato insuccesso del piano di riqualificazione urbana Modena-San Sperato (operazione Perna), io ho pensato alla possibilità di più redditizi finanziamenti che si sarebbero potuti effettuare in favore della Basket Viola, così come fino allora avevo effettuato con le mie società ma poi divenuto non più possibile per le difficoltà bancarie provocate dalle indagini penali iniziate contro la Viola. Ho così ritenuto che si potesse realizzare un’utile convergenza di interessi: da una parte l’interesse della Viola che, avendo rinunziato alla amministrazione controllata, era in attesa del provvedimento di chiusura della procedura da parte del Tribunale per proseguire nella sua normale attività, e, dall’altra parte, l’interesse di Reggio ’90 (e Reggio Sviluppo) ad investimenti delle liquidità notevolmente redditizi con interessi al tasso del 12% rispetto a quello del 6% offerto dalle banche. Il Tribunale e la Corte d’Appello, con le prime due sentenze, non hanno inteso dar credito a queste mie spiegazioni e, sempre nella convinzione che le somme erano finite nelle mie tasche, hanno opposto in sintesi tre argomenti, definendoli insuperabili: che dell’operazione non vi era la benché minima documentazione;  che vi era comunque un notevole divario fra le somme che io avevo affermato di aver destinato alla Viola e quelle che gli amministratori della società sportiva avevano invece dichiarato di avere avuto da me consegnate;  che infine, e principalmente, l’operazione era stata effettuata all’insaputa degli altri componenti il consiglio di amministrazione. Orbene, con le memorie difensive depositate in sede di appello tali argomenti sono stati ampiamente confutati.  Ho spiegato, quanto al primo, che l’operazione non poteva ovviamente essere formalizzata dal Consorzio (come avvenuto per la promessa d’acquisto del suolo della Jonica Appalti del dicembre 1995) perché non disponeva della obbligatoria autorizzazione federale ai sensi dell’art. 12 della legge sul professionismo sportivo (che tale preventiva autorizzazione impone a pena di validità e di sanzioni sportive), in applicazione della quale la Federazione Italiana Pallacanestro già nel maggio del 1995 aveva autorizzato la Viola ad ottenere un indebitamento bancario di 500 milioni di lire. Ho chiarito, quanto al secondo argomento, che le somme in questione, erroneamente quantificate dalla Corte, registravano al contrario una perfetta corrispondenza. Ho infine precisato, quanto al terzo argomento, che dell’operazione in questione era a conoscenza il consiglio di amministrazione di Reggio ’90 che l’aveva approvata, come risultava espressamente dal verbale del 19 dicembre 1996. Verbale questo che, in possesso degli inquirenti e da questi purtroppo totalmente ignorato, era stato da me solo di recente “scoperto” e subito prodotto già alla prima Corte di Appello.  Ho evidenziato in tale contesto che non era quindi vero che io avessi distratto le somme sapendo che la Viola non le avrebbe potute restituire, posto che proprio l’imminente provvedimento che si attendeva dal Tribunale in conseguenza dell’intervenuta rinunzia all’istanza di amministrazione controllata rendeva assolutamente certo il pieno recupero della sua ampia capacità di restituzione. È stata soltanto l’improvvisa ed illegittima dichiarazione di ufficio del fallimento del 23 dicembre 1997 della Basket Viola che ha sconvolto questa certezza e, cioè, le ragionevoli previsioni da me fatte. La mia buona fede, d’altra parte, è resa evidente (con tutti i possibili addebiti di imprudenza che mi si possono muovere) dalla circostanza che, appena dichiarato il fallimento, io, dimettendomi il 12 gennaio 1998 dalla carica di presidente ed amministratore delegato (con ogni potere) di Reggio Sviluppo e Reggio ’90, ho provveduto a precisare e formalizzare tutti i movimenti finanziari da me effettuati, dichiarandomi pronto ad assumere (come poi ho formalmente assunto) ogni responsabilità risarcitoria per tutte le operazioni non rientrate, con ciò coinvolgendo tutte le mie società (titolari di un patrimonio immobiliare al tempo stimato in decine di miliardi di lire) e con esse i miei due fratelli, soci come me nelle stesse. E non è perciò vero che le mie società si trovassero in stato di decozione (come ingiustamente affermato dalle due sentenze), posto che solo a distanza di quattro o cinque anni esse saranno dichiarate fallite, coinvolte nel successivo vortice “a catena” creato dall’illegittimo fallimento della Viola. Ho documentato in giudizio che all’epoca, fra il settembre e il novembre di quell’anno, ben sette Istituti di credito nazionali hanno, tra l’altro, attestato le capacità finanziarie del sottoscritto e quelle ancor più rilevanti della Jonica Appalti spa, holding delle società del Gruppo Scambia. Non voglio aggiungere nulla per quanto riguarda la condanna per il delitto di peculato che resta assolutamente sorprendente per due ragioni:  la prima è che la Corte dei Conti, intervenendo nella vicenda ed adeguandosi alla pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione, aveva precisato che la convenzione stipulata dal Comune con Reg-gio ’90 non costituiva minimamente una concessione, ma soltanto un appalto mascherato mediante affidamento diretto degli interventi, per cui non vi era stato di conseguenza alcun esercizio di funzioni pubbliche che costituisce presupposto indispensabile per il reato di peculato;  la seconda ragione è che il reato contestato era comunque prescritto, come giustamente rilevato dallo stesso Procuratore Generale. Ma, ciò detto, un ultimo particolare desidero aggiungere perché assai significativo e sufficiente a comprendere quanto si è ritenuto fare ai miei danni. Le imputazioni di bancarotta contestate nascono da una improvvisa iniziativa assunta dal Pubblico Ministero nel corso delle indagini affidate alla Guardia di Finanza relative alle presunte appropriazioni a me addebitate e per le quali nel marzo del 2003 ero stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di malversazione.  Ma, accortosi subito dopo che tale reato era da tempo prescritto, il Pubblico Ministero ha subito disposto l’acquisizione degli ultimi bilanci delle due società (che si riferivano peraltro ad epoca precedente di due-tre anni) e in data 17 aprile 2003 ha chiesto al Tribunale (ottenendola il 19 maggio successivo) la dichiarazione di fallimento tanto di Reggio Sviluppo quanto di Reggio ’90, così realizzando il presupposto necessario per contestare il più grave reato di bancarotta fraudolenta. Orbene, quello che voglio segnalare sono i due dati sconcertanti:  che Reggio Sviluppo (con l’enorme potenziale economico finanziario dei suoi soci, cioè dei 106 imprenditori più importanti della provincia nonché da quattro banche nazionali) venne dichiarata fallita per una eccedenza delle passività (sulle attività) di appena 2.369,13 euro (ripetesi di 2.369,13 euro) e il Consorzio Reggio ’90 venne dichiarato fallito prima ancora che il tavolo tecnico costituito concordemente tra le parti in data 21 gennaio 2003 avesse accertato se Reggio ‘90 era debitore o creditore del Comune, considerati i rilevanti crediti vantati in conseguenza del recesso disposto dallo stesso Comune, ben superiori alle residue anticipazioni da restituire (successivamente rimborsate, maggiorate di interessi, dalla società Generali Assicurazioni). Ho voluto dire questo per far comprendere quanto ingiustificate e mirate siano state l’iniziativa e la dichiarazione di fallimento delle due società, costruite per poter contestare a me la bancarotta fallimentare. Per concludere, voglio dire che nelle dichiarazioni spontanee rese nell’ultima udienza davanti alla Corte io ho giurato, davanti a Dio e sulla vita dei miei figli, che non una sola lira delle somme addebitatemi è mai entrata nelle mie tasche, e ciò contrariamente a quanto ritenuto nelle due sentenze impugnate. Chi mi conosce sa il valore delle mie parole. La Corte non ha ritenuto di poterlo fare per ragioni che ancora non conosco. Non mi resta perciò che attendere di leggere la motivazione della sentenza, quando sarà depositata, per potere allestire tramite i miei difensori il ricorso per cassazione. Continuano intanto – con gli altri procedimenti in corso relativi alle società del mio Gruppo (inspiegabilmente separati l’uno dall’altro) – queste ingiuste vicende che impegnano e consumano, giorno dopo giorno, quanto ancora mi resta da vivere. Spero alla luce del Sole, avendo piena fiducia nell’esito delle impugnazioni che io ho proposto e che proporrò. Finora sarebbero diciassette gli anni di reclusione quelli complessivamente accumulati. Sarebbero troppi a volere assicurare il doveroso rispetto alla – come si sa bendata – Giustizia degli uomini.

ing. Gianni Scambia

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