DR1 CALABRIA

QUI PIROSSIGENO, PARLA IL FUORICATEGORIA ASSOLUTO DELLA DR1, SIMONE GINEFRA

Se il basket avesse un albero genealogico, Simone Ginefra sarebbe un ramo maestro. Vent’anni e più – “anzi, qualcuno in più!” ammette con un sorriso – trascorsi in palleggio tra Serie C, Gold e B Interregionale. Dai palasport del Nord alle palestre infuocate del Sud. Oggi, il regista con la IQ basket da manuale sceglie la sfida più audace: lascia la serie B per forgiare l’anima della neonata Pirossigeno Cosenza Basket in DR1.

A stregarlo, non i riflettori del bellissimo PalaPirossigeno, ma l’entusiasmo contagioso del patron Gaetano Piro e un progetto serio e a lungo termine che punta dritto sui giovani.

Da oltre vent’anni sui parquet di tutta Italia, tra Serie C, Gold e B Interregionale. Cosa ti ha spinto ad accettare il progetto della Pirossigeno Cosenza Basket in DR1?

Anzitutto grazie per aver ricordato i miei oltre vent’anni di carriera — in realtà sono anche qualcuno in più! A convincermi è stato l’entusiasmo contagioso del patron Gaetano Piro, che ha le idee molto chiare e un progetto ambizioso per dare vita a qualcosa di nuovo in questo bellissimo palazzetto di Rende. Mi ha colpito la sua determinazione, la serietà della dirigenza — composta anche da persone che conosco da tanti anni — e la possibilità di rimettermi in gioco con un obiettivo concreto: riportare la squadra in Serie C e far crescere i giovani del territorio. Alcuni li conosco già e non vedo l’ora di lavorare con loro.

La tua carriera è un manuale aperto di esperienze e sfide: quali insegnamenti pensi di poter trasmettere ai giovani “Lupi” della cantera rossoblù?

Ne ho vissute tante. Ho giocato dal nord al sud Italia, conoscendo realtà diverse e incontrando giocatori che mi hanno fatto crescere umanamente e tecnicamente. Ai giovani della Pirossigeno voglio trasmettere entusiasmo, voglia di migliorarsi, genuinità e soprattutto il valore della lealtà. Il basket è un gioco di squadra: da soli non si va da nessuna parte. Voglio che crescano giorno dopo giorno, dentro e fuori dal campo. Sono certo che accadrà, perché il gruppo è formato da ragazzi disponibili e motivati, e con l’allenatore — che conosco bene — faremo un grande lavoro.

Di recente sei stato convocato nella Nazionale Italiana Over 40. Un bel traguardo che parla anche della tua longevità sportiva. Quanto conta la mentalità per restare ad alti livelli così a lungo?

Tantissimo. La convocazione in Nazionale è stata una delle emozioni più belle della mia carriera recente. Indossare di nuovo la maglia dell’Italia dopo 25 anni è stato incredibile. Giocare gli Europei, sentire l’inno, vedere mio figlio sugli spalti che esultava con me… sono momenti che non dimenticherò mai. È stata una spinta fortissima a continuare, con passione e dedizione.

Arrivi alla Pirossigeno da playmaker, ruolo sempre più centrale nel basket moderno. Quali sono le qualità imprescindibili che un “regista” deve possedere oggi, soprattutto a livello formativo?

Il playmaker è il cervello della squadra, il vero allenatore in campo. La prima dote fondamentale è la tranquillità: se sei calmo e sicuro, trasmetti fiducia al gruppo. Se invece sei nervoso, rischi di far crollare tutto. Un buon play deve saper gestire le emozioni, comandare il gioco e mettere sempre la squadra al primo posto. Questo è il messaggio che voglio trasmettere anche ai ragazzi che cresceranno con noi.

Da sempre ti riconoscono intelligenza tattica, leadership e capacità di creare legami: conosci il segreto per trasformare una squadra in una famiglia, come auspica la dirigenza cosentina?

Il segreto è semplice ma richiede costanza: autenticità e presenza.

Non basta essere bravi tecnicamente, devi interessarti davvero alle persone che hai accanto. Io parto dall’ascolto. Ogni compagno ha una storia, delle paure, dei sogni. Quando li conosci veramente, non li vedi più solo come giocatori ma come persone. E loro lo sentono. In campo cerco sempre l’assist prima del canestro personale. Fuori dal campo condivido i momenti difficili, non solo quelli di gloria. Questo crea fiducia reciproca. La leadership non è urlare o comandare, è dare l’esempio nei momenti che contano. Quando la squadra è sotto pressione, io resto calmo e positivo. Quando qualcuno sbaglia, lo rincuoro subito invece di farglielo pesare. Il mio approccio sarà: creare sinergie tra veterani e giovani, rituali di squadra che ci uniscano, e soprattutto far capire a tutti che qui non lottiamo solo per vincere partite, ma per qualcosa di più grande, per la nostra città e per lasciare un segno insieme. Una famiglia si costruisce giorno dopo giorno, non si improvvisa. Ma quando ci riesci, diventi imbattibile.

Guardando alla prossima DR1 calabrese: raccontaci i tuoi obiettivi personali e cosa ti aspetti dalla squadra in termini di crescita e risultati…

È un campionato che conosco poco, ma so che è competitivo, pieno di giovani talenti e squadre agguerrite. Sarà dura, ma stimolante. Io non mi nascondo: voglio vincere. Il mio obiettivo è portare questa squadra in alto, fino in fondo. Lo dico senza mezzi termini anche ai miei compagni: dobbiamo lavorare, crescere e vincere. Non si può partire con un’idea diversa. Serve fame, determinazione e unità. Solo così si raggiungono i traguardi.

Show Buttons
Hide Buttons