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COACH GIANNI TRIPODI RACCONTA GIANFRANCO BENVENUTI

Otto giorni al grande appuntamento di Largo Botteghelle con l’intitolazione del Palasport alla memoria di Gianfranco Benvenuti

Ecco i ricordi di Coach Gianni Tripodi da Viola Inside

GIANNI TRIPODI RACCONTA GIANFRANCO BENVENUTI

Quando parliamo di Benvenuti parliamo di un grande Maestro di sport e di vita. Non è stato per noi soltanto un esempio da seguire dal punto di vista tecnico, ma è stata sicuramente una persona che ci ha dotato di quelle competenze, anche nell’interagire con le altre persone, per vivere nel mondo dello sport, per far rispettare le regole. Per noi giovani allenatori e per tutto lo staff della Viola di quell’epoca è stata una figura importantissima, ci siamo formati attraverso la sua guida. È stato un allenatore che ha preteso da parte nostra, ancora prima della competenza, la serietà: voleva degli allenatori che sapessero applicare le regole, che fossero innamorati della pallacanestro e che non fossero solo degli insegnanti di tecniche. Ogni settimana insieme a Benvenuti e Gaetano Gebbia facevamo degli incontri di formazione ed è stato attraverso questi momenti importanti che siamo cresciuti e anche tanto. Il rapporto con Benvenuti è stato un rapporto bellissimo anche perché sofferto: ogni allenatore ha il proprio stile, lui aveva il suo modo di agire, sia con la prima squadra che con il settore giovanile, e questo comportava anche il fatto che non avesse peli sulla lingua; per esempio durante un mio allenamento capitava che intervenisse davanti agli altri facendomi anche rimanere male, non nego che più volte sono uscito dal campo da gioco con un nodo alla gola, però questo mi dava la forza per far bene. Poi magari dopo un’ora ci ritrovavamo tranquillamente insieme in pizzeria o a cena a casa sua.

Ci riempiva sempre di consigli, io personalmente gli ero molto legato ed ero sempre insieme a lui, anche se probabilmente ero anche quello che veniva trattato peggio sul campo da gioco. Eravamo spesso insieme nel post allenamento, era una persona di compagnia, gli piaceva tanto stare a parlare, era un finto burbero però dal cuore buono; aveva sempre la battuta pronta, era una persona estremamente divertente e amante degli scherzi. Spesso qualche giocatore gli restituiva questi scherzi; ricordo ad esempio al Botteghelle, dove solitamente o prima o dopo di noi si allenavano anche le ragazze della pallavolo Mangiatorella e loro avevano l’abitudine di depositare i loro oggetti su un tavolo, puntualmente Kim Hughes o qualche altro giocatore, prendeva l’orologio di una delle ragazze e lo nascondeva nella borsa di coach Benvenuti. Poi facevano in modo che finisse a rovistare nel suo borsone e quando l’orologio veniva fuori lui si arrabbiava. Era anche molto scaramantico, prima di ogni partita indossava il vestito con la cravatta e i calzini rossi e teneva in mano le chiavi della macchina fino al fischio dei tre minuti dall’inizio, momento in cui le consegnava alla moglie. A volte dopo una vittoria esclamava scherzando: “Dè, abbiamo vinto ieri, adesso mi tocca portare mia moglie a Taormina perché gliel’ho promesso!”.

Mi chiamava Coccino, nel senso di piccolo coach, perché lui aveva dei soprannomi un po’ per tutti. Ogni mattina mi chiamava a casa per farmi da sveglia, allora non c’erano i cellulari e rispondeva mia madre che correva a svegliarmi dicendo “Vedi che c’è Benvenuti al telefono!”, io rispondevo e lui: “Dè, stai sempre a dormire, non fai nulla! Tra dieci minuti devi essere sotto!”. La mia più grande soddisfazione è stata quando dopo i quattro anni vissuti a Reggio prima di andar via in un’intervista in un programma disse che tra le tante cose che riteneva di avere fatto c’era di aver aiutato molti tecnici a migliorare e a crescere e in quell’occasione fece il mio nome. Una cosa per me bellissima e indimenticabile.

Benvenuti è rimasto quattro anni, ha vinto tutto quello che c’era da vincere, ci ha portato dalla serie B alla A2 e dalla A2 alla A1, ricordo che, l’anno precedente la seconda promozione, stavamo rischiando da neopromossi A2 di vincere il campionato e lui disse: “Non va bene vincere ora il campionato perché non siamo ancora pronti, né come società né come staff, per affrontare una realtà come la A1”. Credo che oggi nessuno avrebbe detto una cosa del genere.

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