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NEL RICORDO DI ANDREA CHINNI’

Partito da Pellaro, diventato grande già con la Basket Pellaro. Ha giocato nel settore giovanile della Viola prima di spiccare il volo verso la Lazzarese e poi in Sardegna.

Una persona ed un giocatore indimenticabile non soltanto alle nostre latitudini.

Andrea Chinnì, classe 1978, lungo dalla mano educata .

Complimenti al team di Olbia che, a distanza di tantissimi anni dalla sua morte, avvenuta nel 2009 non ne ha dimenticato la bontà.

Ecco l’articolo della società sarda

   

«Lasciare il segno»: secondo il dizionario De Mauro, con queste parole si intende «restare impresso nella memoria». Succede per le esperienze che ci capitano, per le emozioni che sentiamo, per le persone che incontriamo. Nello sport, accade che, per restare nella memoria, non per forza si deve essere sotto i riflettori.

Ha lasciato il segno, nella memoria di chi lo ha incontrato, Andrea Chinnì: classe 1978, calabrese di Reggio, pivot di 206 cm che calcò i campi della pallacanestro sarda tra il 2004 e il 2008. Arrivato a Olbia, giocò a Sassari nell’anno in cui l’Olimpia vinceva il campionato di C regionale; nei tre anni successivi, vestì i colori biancorossi in C1, per poi disputare il campionato di Serie B con la Santa Croce.

Era il 26 novembre 2009, quando in tutti i campi della pallacanestro olbiese arrivò il tuono di una notizia tragica, inaspettata: in una normale giornata di lavoro, la vita di Andrea si spense, per ragioni inaspettate e imponderabili. Lasciò una moglie e una figlia. Lasciò una comunità a bocca aperta.

Perché morire a 31 anni è di per sé un’ingiustizia; lo è di più se si è lasciato il segno nella vita degli altri. Chi lo ha visto giocare, ricorda un giocatore di sicuro livello: molto alto, con le leve lunghe e una grande propensione alla stoppata; un catturatore di rimbalzi, con un buon gioco spalle a canestro. In molti ricorderanno la sua partenza in “virata”, oltre a qualche tiro in scarso equilibrio.

Chi lo ha conosciuto, non può dimenticare i suoi capelli, gli occhiali, la sua voce quasi sussurrata. Non dimentica il temperamento sereno, da bravo ragazzo, raramente fuori posto. Chi ha calcato il campo con lui, ne mette in rilievo la pacatezza, l’estrema correttezza nei confronti di avversari e compagni. Un vero esempio di sport.

I suoi compagni di squadra lo ricordano semplicemente come un amico, una persona che non faceva mai venir meno un sorriso, una pacca sulla spalla o un “cinque”. Essere tranquilli coi compagni, con gli avversari, con gli arbitri; farlo quando si è ragazzi di quasi trent’anni, dentro uno spogliatoio a metà degli anni Duemila: quante battute, goliardate, arrabbiature saranno passate in quelle trasferte inLombardia o nel Lazio, sia quando si giocava al Palazzetto Deiana che al campo di Padru. Lui, che in campo occupava più spazio di tutti, sapeva rispettare lo spazio altrui, senza mai invaderlo, come nessuno.

Andrea, nell’anno di esordio tra i campionati nazionali, aveva ereditato il ruolo di pivot e la maglia numero 7 che era stata di Gigi Cappuccio, protagonista assoluto della promozione del 2004. Era in campo nel momento forse più significativo di quegli anni: a Busto Arsizio, nella gara3 dell’ultimo turno dei playout, quando in rimonta si doveva decidere se restare tra i grandi o tornare nella dimensione di un campionato regionale. Mai erano arrivate vittorie in trasferta quell’anno: il livello del basket lombardo era forse eccessivo per una piccola realtà come l’Olimpia.

Eppure, tra una difesa a tutto campo e una gran dose di carattere, in pochi secondi svoltò la stagione e arrivò la tanto sudata salvezza.

Di quella appassionante serata esiste una fotografia, in cui il sorriso e il lungo braccio emergono, tra gli altri, a segnare lo spirito di una squadra, un’annata, uno splendido periodo della vita della nostra società.

Quando si è ragazzini di 10 o 13 anni, è facile trovare degli idoli dai quali prendere ispirazione. Spesso non servono i grandi giocatori visti in televisione: quando si vive di basket, è sufficiente seguire e appassionarsi alle giocate dei più grandi, quella prima squadra in cui un giorno si sogna di giocare. Generalmente, si guarda il chi fa più punti, chi è più spettacolare, magari chi ricopre lo stesso ruolo in cui si intravvede il proprio futuro.

Talvolta succede, però, che a colpire l’attenzione di un ragazzino sono altre cose: la bellezza di un rimbalzo preso con decisione; la difficoltà di una virata; il carattere di chi, pur senza conoscerti, ha scelto di mostrare una qualità rara. La gentilezza

Accade che, per puro caso, quella maglia numero 7 capiti tra le mani in una fresca serata di novembre: a ricordare chi, con rispetto ed educazione, ha scelto di lasciare il segno nella vita degli altri. Restando impresso nella memoria di chi c’era, nello spirito dell’Olimpia di ieri e di oggi.

Come ogni 26 novembre, il pensiero va alla famiglia di Andrea Chinnì, gigante col sorriso.

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